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    Escursione alla ricerca del “Barone”: una passeggiata fra i secoli di storia, aneddoti e leggenda, a Monte Ruperto, “exclave” in territorio marchigiano ceduta in epoca medioevale dall’allora nobile locale in segno di riconoscenza al comune

    16/09/20244 Mins Read
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    Escursione alla ricerca del “Barone”: una passeggiata fra i secoli di storia, aneddoti e leggenda, a Monte Ruperto, “exclave” in territorio marchigiano ceduta in epoca medioevale dall’allora nobile locale in segno di riconoscenza al comune. In 28 appassionati camminatori ed un “cane”, si sono presentati ieri mattina di buon’ora all’appuntamento per l’escursione alla baronia, una originale iniziativa, che era stata annunciata lo scorso mese di giugno dal sindaco Luca Secondi nel corso di una cerimonia ufficiale in consiglio comunale sui 750 anni dall’istituzione di agevolazioni fiscali per gli abitanti dell’epoca e del legame storico che identifica il primo cittadino tifernate anche con il titolo nobiliare di barone, unico caso in Italia. Il comune di Città di Castello, insieme al Club Alpino Italiano (Cai Sezione di Città di Castello) e “I Cammini degli Appennini”, ha organizzato tutti nei minimi dettagli e complice la bella giornata l’iniziativa ha fatto centro e riscosso apprezzamento fra i partecipanti, fra cui il consigliere comunale, Andrea Lignani Marchesani. Il sindaco tifernate a causa di un impedimento dell’ultimo momento non si è unito al gruppo di iscritti alla camminata, ma comunque ha portato il saluto prima della loro partenza.

    L’escursione ha avuto inizio lungo la valle del Torrente Candigliano in corrispondenza dell’intersezione tra la strada di collegamento San Martino del Piano con Piobbico e la carrareccia che sale a Monte Ruperto. Il primo tratto in salita ha condotto i “camminatori” ai ruderi del casolare Calcineto e poi proseguendo lungo il crinale su traccia di sentiero in direzione sud al casolare di S. Donato: questo tratto panoramico del percorso ha offerto vedute a est verso Monte Nerone e a ovest verso la Massa Trabaria. Poi attraverso una breve deviazione hanno raggiunto il monte Ruperto con i suoi ruderi. Nel corso delle soste previste dal programma, l’ingegner Giovanni Cangi, relatore e storico, affiancato dai referenti del Club Alpino Italiano, Andrea Caiotti e Sauro Gorbi e dal referente dei “Cammini”, Marco Montedori, ha raccontato in maniera davvero coinvolgente tutte le fasi storiche, inframezzate da leggende e aneddoti, che rendono quei luoghi unici e suggestivi. All’interno del territorio, costituito da boschi e segnato da mulattiere, si passa da un’altitudine minima di 412 metri sul livello del mare fino ad una massima di 727. Il Candigliano, affluente del Metauro, delimita il confine settentrionale dell’exclave. Nell’area presenti alcuni ruderi di case, in parte riconoscibili, altri devastati pure dal furto di pietre. “Oltre quello di Monte Ruperto – è stato ricordato – esistevano altri castelli alle sorgenti del Candigliano: il castello di Scalocchio, quello di Citerna sul Candigliano, il Castello di Baciuccheto, con relative chiese che ricordano tradizioni di culto bizantine e longobarde.

    Testimonianze di vicende storico-religiose di queste terre in epoca Tardo-antica e Altomedievale a ridosso del Corridoio Bizantino. Chiese appartenenti alla Diocesi di Città di Castello, sia quelle di Scalocchio e di Botina, San Lorenzo di Frigino, San Martine del Piano e Madonna della Cella, oltre alla chiesa di San Donato a Monte Ruperto, intitolazione legata al Vescovo longobardo di Arezzo. Nei primi anni ’60 Scalocchio fu centro di una interessante esperienza didattica nota come “Patti per l’Educazione”. 2Le scuole di Scalocchio avevano sede presso l’Abbazia. Vi erano solo due classi per le elementari e le medie con rispettivi tutor. Le lezioni erano tenute da docenti e trasmesse dalla RAI . Nella scuola pertanto c’era un televisore posto nella parete divisoria fra le due classi; di volta in volta veniva girato da un lato e dall’altro. La particolarità sta nel fatto che a Scalocchio non c’era corrente elettrica. Si deve a don Zefferino Caporali, parroco dell’Abbazia, l’idea di piazzare un alternatore alimentato da una turbina idraulica collocata in una cascatella del Candigliano, sufficiente per garantire il servizio. Alla scuola di Scalocchio si formarono molti giovani che poi si trasferirono a Città di Castello per frequentare le scuole superiori, assistiti sempre da Don Zefferino, assegnato alla Parrocchia di Trestina dove, meritatamente, gli è stata dedicata una via”.

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